REBOANTE MOGUGNO

Che poi ho sempre pensato principalmente a me stesso. Ci si lamenta in continuazione d’esser perennemente troppo occupati a seguire le altrui vicende, vuoi per un capriccio, vuoi per un’abitudine. A ogni modo, l’atto stesso di lamentarsi di questa condizione, vittimizzandosi seppur con morbidezza, rende chiaro quanto il pensiero sia rivolto innegabilmente, e ancora una volta, verso la propria persona.

Non che sia un problema. Il lamento è un modo come un altro per liberare tensione, l’eccessiva energia. Io personalmente – andando ancora oltre – ho sempre preferito il vituperio più sfrenato alla lamentela e alla violenza fisica. Un vituperio – per di più – segregato nella sfera privata, riservato in forma di satira non richiesta ai più stretti, ai più comprensivi e ai più avvezzi – naturalmente non ai diretti interessati.

A chi incessantemente propone di limitarsi all’uso di parolacce miti e più semplici – poiché abusate e impiegate come intercalari dai più – mi sento di dire una volta per tutte, e mi si permetta di essere prosaico, che augurare la morte a qualcuno non porta alla denuncia, insultare in qualsivoglia modo invece sì.

Un esempio semplice, per dare un’idea di come possa avere luogo dentro di me la lieve messa in scena di un fastidio, che potrebbe essere crescente – se non arginato – nell’arco della giornata.
Una nota giovane attrice di film commerciali, nel promuovere un’opera di bassissima lega sulle pagine di una patinata rivista in cui si parla di vestiti, accessori, cura della persona e rivoluzione, si lascia andare a una frase decisiva, tanto forte e giusta da finire come sottotitolo: “i giovani dovrebbero abbandonare i telefoni e riscoprire le piazze”.

Ecco, questa è una citazione minima di qualcosa che, a ogni modo, potrebbe ripetersi più volte al giorno – per non dire all’ora – e con incredibile fantasia delle forme. Come ci si difende, dunque, da una rivista patinata ti starai chiedendo, o caro lettore, o cara lettrice (la o rimane vocativa). Se il presupposto di un fastidio crescente è questo, buona fortuna con le otto ore quotidiane di scambi email con persone che utilizzano il comic sans, verrebbe da dire.

Il fatto è questo, io sono un compiaciuto seguace della bestemmia. Tentativo terreno di mettere ordine e svincolarsi dall’entropia. Un piccolissimo rituale e forse, finalmente, un vero atto di resistenza.

Per Girard, rito è mezzo canalizzante di violenza, con il mero obiettivo di mantenerla entro dei limiti accettabili. Sacralizzare la violenza protegge la comunità dal disordine. In questo senso, il nostro moderno e costante mogugno – quel lamento reboante che si accompagna a quanto già detto – bisognoso del sacro, può essere visto come una forma di ritualità personale, un modo per dare una struttura al disordine interno e, in definitiva, per cercare un equilibrio nel caos dell’esistenza.

Qui finisco. Il reboante mogugno non è solo uno sfogo, è un atto profondamente umano, una risposta sacra a ciò che ci gira intorno, per opporsi a quel contrario da noi che è pur sempre rituale, MA della gente semplice, dunque misero, laico e sbiadito (seppur legittimo, s’intenda).

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