L’ORA DI DELUSIONE

Un fascio di serici sogni / Incorona le notti e i riposi / Un balzo di tigre inquieta / Mi sveglia al giorno (Battiato|Sgalambro)

Molto probabilmente non è possibile raggiungere un obiettivo seguendo il canone imposto a priori dalla retta via istituzionalizzata. Non dico che sia inevitabile violare la regola, ma che sia necessario – sempre – trovare il proprio modo di perseguirla. Qualsiasi altra soluzione, qualsiasi altro circuito indicato o insegnato non funziona.

Non portano a niente – di per sé – la scuola dell’obbligo, l’università o la gavetta lavorativa in azienda. Tutto è niente, a meno che non sia qualcosa di certo in partenza. E quel tutto deriva – mi viene da pensare – dalla necessità effettiva di non scontentare nessuno non potendo accontentare tutti. Ma in un presente che, sempre più, invita quei tutti a poter esser tutto, a poter ambire a qualsiasi sogno senza preoccuparsi della dimensione di partenza (il che non fa una piega ed è teoricamente giustissimo), si faceva necessaria una struttura che consentisse a tutti di provarci – o averne la sensazione – mantenendo i soliti posti disponibili di arrivo, di successo o di gratificazione. Nulla cambia, va avanti la tecnologia (giusto il tempo di fare il giro), muta il modo di vestire… per il resto poco o nulla.

Per essere pragmatico: un determinato settore mette a disposizione 2mila posti di lavoro; i laureati del corso di preparazione, di studio o altro, sono 50mila… che si fa? Avremmo necessariamente 10mila persone deluse, ma che riescono ad avere un ruolo in una categoria che orbita intorno a quel settore – nella migliore delle ipotesi – e per forza di cose 38mila poverini, frustrati o disillusi che dovranno rimboccarsi le maniche e reinventarsi, e non solo una volta. Non tutti riusciranno a farlo, tra l’altro. Il meccanismo è inevitabile e si potrebbe dire che “è la vita”, ma l’idea di premere sempre più sulla preparazione assoluta e determinatissima è un’idea che s’è fatta largo con prepotenza negli ultimi anni: se non trovi il lavoro, inventalo… cosa che sembra sempre impossibile finché qualcuno poi non lo fa e gli altri restano a contemplare.

Il Guardian – in modo diretto e brillante – parla di disillusionomics, l’economia di una generazione cresciuta con promesse mai realizzate. Un sistema in cui i tradizionali parametri di successo sono diventati in gran parte irraggiungibili, e che, se raggiunti, non offrono la stessa sicurezza di un tempo, porta innegabilmente a domandarsi: perché rispettare le regole di un gioco che non funziona più? Ora in effetti ci si mette anche la faccenda dell’AI e dei lavori che scompariranno. La pressione da infliggere al singolo giovane parrebbe non volerla fermare nessuno.

Appare semplice, ma giusto, ricordare Elias Canetti e quella «soddisfazione di trovarsi più in alto degli altri nella gerarchia che non indennizza della perdita di libertà di movimento», poiché «nelle proprie distanze l’uomo si irrigidisce e si oscura». Una soluzione? Che diventi sufficiente superare sé stessi e tanto basti. Forse. Per scrollarci dalle spalle il consiglio supremo dello scintillante nuovo millennio, potrebbe essere utile iniziare a pensare alla crescita e non alla durata, a snobbare le migliaia di corsi, tutorial, infografiche, trucchi, hook social e la derivante corsa al massacro del “compra la soluzione entro tre ore a 90 euro anziché 1400”. Tutta quella roba è finita nel momento in cui qualcuno ha pensato di insegnarla… più diventa tutto inutile, più credi che sia vero e il giorno della fine non ti servirà l’inglese.

Non dico di aver trovato il vero successo personale, anzi la vicinanza a quel punto è a portata di mano forse, ma potrebbe facilmente rimanerlo per secoli; guardandomi indietro, però – in un periodo di calma, soddisfazione e tranquillità interiore come questo in cui scrivo – non posso che constatare quanto il non aver seguito la maggior parte dei consigli ricevuti sia stata una scelta saggia, e includo anche quelli in buona fede, che sono sempre i più insidiosi. Due concetti soltanto, che potremmo riassumere in due frasette, sono stati utili in trent’anni di vita e sono questi (li condivido con voi che siete una manciata di lettori – strepitosi – nella speranza che non li seguiate come consigli, in caso contrario dimostrereste di non avere capito – o non averlo voluto – quanto letto fin qui).

  • Realizzare qualcosa a 26 anni o 31, non cambia assolutamente niente.
  • Ci rende ridicoli il tentativo di imitare qualcuno – specialmente se è qualcuno, come sempre accade, che non potremo mai emulare a dovere.

In fin dei conti a far propri questi due punti non basta una vita.

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